mercoledì 26 novembre 2014

IL POTERE DEL MISUNDERSTANDING



“Please do you have time next week to come to your son class to do some art works with kids for Christmas?”
Questo era il tenore (errori compresi) della comunicazione che avevo sul diario di scuola del Torello la scorsa settimana. Fare qualche lavoretto coi bambini in classe? Ma certo! Così ieri pomeriggio sono andata a scuola per quella che credevo essere una mera collaborazione. I bimbi si sono seduti tutti in cerchio davanti alla sedia (vuota) della teacher e lei, candida, mi ha detto:
“Bene, puoi sederti e iniziare la lezione!”
“Coooosaaa?”
Io non avevo mica capito che quella che doveva tenere la lezione d'arte ero io: non avevo preparato nulla! Per fortuna la maestra del Torello è una giovane che non si perde d'animo e io sono una tipa creativa, il panico è durato solo trenta secondi e, in quattro e quattr'otto, abbiamo deciso di fare un collage. Lei mi ha procurato carta colorata, colla e forbici e io, con una sicurezza degna di Steve Jobs quando presentava un nuovo prodotto Apple, ho mostrato ai bambini come avremmo creato un alberello di Natale decorato. Mentre ritagliavo e improvvisavo la spiegazione a braccio, i piccoli accoglievano ogni cosa con un “wao!” entusiastico. Poi si sono seduti ai tavolini ed hanno iniziato il lavoretto: vedere il loro orgoglio mentre mi mostravano le creazioni era davvero emozionante.
È sempre commovente rendersi conto di quanto poco basti ai bimbi per essere felici: qualche paillette, un po' di colla, ritagli di carta multicolore. Tutti (a parte il Torello che, emozionato dall'avere la mamma in classe, mi tirava per giocare con me) hanno lavorato alacremente.
Può sembrare una cosa banale, ma se tre anni fa mi avessero detto che avrei dovuto improvvisare una lezione di arte (in inglese) per dei nanetti di quattro anni provenienti da otto nazioni diverse, alcuni dei quali si sarebbero rivolti a me in cinese, avrei pensato che erano pazzi.
Sì, tre anni fa me la sarei fatta sotto al solo pensiero. Non ridete: io nella mia vita precedente facevo la contabile ed avere buone capacità di public speaking non è una delle competenze richieste ad un bravo ragioniere. Tre anni fa avrei considerato il fatto di mettermi seduta su quella seggiolina davanti ai bambini (senza previa preparazione di un paio di settimane!) come una sfida galattica, l'avrei considerata non solo un passo fuori dalla zona di comfort, ma un balzo!
Questo è quello che mi ha donato l'espatrio: la capacità di andare oltre, di fare cose diverse e che mi spaventano, di acquisire ogni giorno di più sicurezza in me stessa. Che ti piaccia o no, l'espatrio ti cambia: dal momento stesso in cui metti piede su quell'aereo che ti porterà a vivere all'estero, sarai una persona diversa, senz'altro migliore.
In questi anni ho conosciuto persone che vivono male la loro esperienza estera, alcuni danno la colpa alla Cina, pensano che, magari, se fossero in Canada o in Brasile, le cose sarebbero diverse.
Io però sono convinta che il disagio parta da dentro: è qualcosa di non risolto che abbiamo nel nostro cuore e dobbiamo vedercela, prima di tutto, con noi stessi. Il modo per sfruttare al meglio l'esperienza di expat esiste, anche se il paese di accoglienza non ti piace. Non è un processo facile, ma può portare grandi soddisfazioni. Ed è diverso per ognuno di noi. Ma vale la pena provare.


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